domenica 31 agosto 2014

Buoni motivi per venirti a trovare

Giulia è una di quelle persone che devono spostare continuamente di lato la ciocca che cade davanti alla fronte. Sembra indispensabile che ora il sole la illumini sull’orecchio traforato di pirsing mentre parla dello schifo che ha mangiato tre giorni fa al ristorante indiano.

-Ho vomitato tutta la notte, quel sapore di spezie non si decideva mai ad andare via.
Se sale una mosca sul suo braccio la lascia pascolare e non accade mai che sbuffi. Ah, il parco ad agosto è tutto un abbaiare di silenzio! Giulia che si sdraia sulla terra secca è l’unico rumore- perché nel parco non c’è davvero nessuno, così è possibile guardare quelle quattro nuvole sopra la testa e vederci di tutto- delle scarpe, un cellulare, una strega, un pollo, Goku, profezie del futuro.
-Mi dispiace ma non ci torno più. Dovrebbero farlo chiudere. La carne era avariata, ci hanno messo sopra più spezie possibili per non far sentire la puzza di morte.
E sbatte le ciglia velocemente, tutte insieme, come se fosse stata attraversata da una scossa, e il fremito le fa portare la sigaretta alla bocca, circuirla con le labbra sempre umide, tirare su a  più non posso mentre gioca con le unghie e le pellicine delle dita.

Giulia è una di quelle persone che non riescono a bere senza far cadere qualche goccia lungo il mento. Come si siede composta al tavolo del pub! E parla per ore, discetta su qualsiasi argomento col suo celebrale accento del nord- quelli dei tavolini accanto devono abbassare la voce o arrendersi e rimanere in silenzio. Raggiunge presto l’ubriacatura e se è di buon umore fa cose un po’ insensate. Una volta andò in giro a chiedere se ‘Giulia’ fosse un nome universale.
-Giulia è un nome universale? Me lo sa dire signora?
Alcuni le dicevano di sì, altri ci pensavano su e lei rimaneva serissima, come se fosse stata la domanda fondamentale “sulla vita, l’universo e tutto quanto”. Rimanere ore con lei sdraiati sul marciapiede a guardare quelle quattro stelle poverelle di Roma, addormentarsi sulla sua spalla, osservare la gente che esce dal cinema, con gli occhi sgranati o il volto soddisfatto a commentare ogni scena, sentirla leggere le pagine preferite dell’ultimo libro che aveva letto. Oh, origliare i suoi capelli quando di continuo li sistemava come animali domestici!

Giulia è una di quelle persone che fumano di nascosto e mentono ostinatamente. Fumava persino in ospedale! Si alzava lentamente tremolante dal lettino bianco, con quella camicia da notte che la faceva assomigliare a un’illustrazione del lupo cattivo di cappuccetto rosso, apriva la sua scatola del 1943- l’aveva comprata a Londra da quella signora che le aveva detto che apparteneva a suo marito morto in guerra; Giulia era rimasta stupefatta e ovviamente l’aveva aqcuistata all’istante- cacciava fuori il pacchetto di Pall Mall blu (fumava Pall Mall perché le fumava Kurt Vonnegut), e si affacciava alla finestra della stanza dell’ospedale- quelle stanze da cui si vedono solo anziani in passeggiata, anziani bianchi o giovani smunti o carrozzine o camici, dove ci sono quattro piante e più in là  il traffico- e lanciava nell’aria i pezzetti di cenere osservandoli navigare come solitari grigi marinai.
A New York andava sempre da Florence’s a mezzanotte, a bere caffè nero e frittelle con sciroppo d’acero. L’aveva letto in un pezzo teatrale di Sarah Kane. Ah, sì, Giulia è anche una di quelle persone che copiano le cose che vedono nei film o che leggono nei libri. New York, uno dei suoi discorsi preferiti.
-Io le ho viste le Torri Gemelle cadere. Ma mi ricordo solo tanta polvere, per giorni, e gli squilli assillanti dei cellulari.
Ne parlava sempre di più, di New York, da quando era stata ricoverata.

La pioggia si abbatte sul suo corpo per eliminare tutti i suoi colori, e si può stare sicuri che ci riuscirà: prima il rosa della pelle, i suoi nei lungo le braccia, e poi il nero corvino dei capelli, a scurire le pozzanghere. Per questo vogliono stenderla in un letto d’ospedale, come uno stendipanni, per fare andare giù ogni colore.
-Portami dei libri, ah, anzi, delle riviste! Le sfogliamo insieme, qui abbracciati, sarà carino!
Ma si addormenta neanche dopo dieci pagine, per via delle medicine. I mal di testa di notte sono lancinanti, i medici sono costretti a darle la morfina. Per questo sogna ragni enormi che la divorano, fa incubi orribili. In bagno ci vuole, ci deve andare da sola, anche se ci impiega un'eternità solo per alzarsi dal lettino, e se qualcuno prova solo a sfiorarla, in questo lentissimo rito quotidiano, gli urla contro di non toccarla.

Giulia è una di quelle persone a cui piace ricevere lettere, specialmente se la busta è di carta di riso. Io non le ho mai scritto una lettera, figuriamoci in carta di riso. Ora ci provo.

Cara Giulia,
Un buon motivo per venirti a trovare, mentre te la stai ridendo così sfusa come la cenere delle sigarette, è che avevi sempre da fare con tutto quel pasticcio che avevi nella borsa e ridevi come una matta perché ti prendevo in giro; è che non sopportavi fare l'amore nei luoghi chiusi, dicevi che ti mancava l'aria, e dovevamo sempre trovare soluzioni nuove; è che voglio di nuovo sentire l'odore del tuo alito quando ti bacio la bocca; è che non è possibile che finisca tutto ora, è che abbiamo quei biglietti prenotati per il nostro viaggio a New York; è che continuamente trovo i tuoi tic in ogni libro che leggo, è che sta piovendo e quando piove bisogna stare vicini e soffocare dalle risate, è che ho messo a posto la tua stanza, che era un casino, ma adesso vorrei rivederla nel tuo disordine. Posso venirti a trovare? Ti ricompongono tutta, o mi scompongo io, e facciamo insieme tutte queste cose. Ho una lista qui, posso continuare a scrivere. Fammi sapere. Ho preparato già tutto, ho scritto anche una lettera per gli altri, è tutto a posto.
Allora a presto eh. Oh, ricordati di sparpagliare nell'aria quel profumo di cui non ricordo mai il nome! Io porterò delle ciambelle alla crema e del caffè.

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