Mentre
cammino lungo il viale che porta all’università, tra piccole gocce di pioggia
che si appiccicano sul mio cappotto, mi chiedo per quale motivo le poesie
contengano quasi sempre riferimenti alla natura. Alla luna, alla terra, al
mattino, alle albe, ai tramonti. Non parlano mai di detersivi, capelli,
forbicine, schermi digitali, lampadine, penne, centri commerciali, cacca, asfalto,
tarocchi, biblioteche, coca cole, gel igienizzanti o telefonini. La pioggia fa
un rumore chiassoso quando si abbatte tra le cose, sembra una lavatrice ante litteram
che lava tutto senza centrifugare. Dalle cuffiette del mio Ipod esce un pezzo
di John Coltrane. Mi sembra di stare a Parigi, in uno di quei film in cui ci
sono molte sigarette, solo bianco e nero e dialoghi brillanti. Dei bambini
vanno a scuola, io faccio elenchi mentali. Di quello che ho fatto, di quello
che non ho fatto, di quello che mi annoia, di future liste possibili.