Da ieri ho cominciato a frequentare un corso per aspiranti insegnanti di italiano a stranieri. Tornato a casa dopo una giornata intensissima mi sono ricordato di: non aver guardato le scarpe di nessuno (tranne degli stivali di una ragazza stile Lara Croft), di aver sognato due amanti che erano amanti solo per fare aperitivi a Porto Fino, di aver detto il mio nome per presentarmi almeno trenta volte sorridendo e di averlo chiesto agli altri almeno altre trenta volte (sempre sorridendo), di essermelo scordato subito dopo che mi era stato detto sorridendo, di aver ascoltato un sacco di begli aneddoti, di aver visto una professoressa lanciare fuori dall’aula la sua borsa con dentro il cellulare che squillava , di aver visto poi la segretaria bussare alla porta e dire con la borsa in mano: “Ha chiesto di lei”
martedì 25 ottobre 2011
Un corso, la metro e una zampa di gallina
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Da ieri ho cominciato a frequentare un corso per aspiranti insegnanti di italiano a stranieri. Tornato a casa dopo una giornata intensissima mi sono ricordato di: non aver guardato le scarpe di nessuno (tranne degli stivali di una ragazza stile Lara Croft), di aver sognato due amanti che erano amanti solo per fare aperitivi a Porto Fino, di aver detto il mio nome per presentarmi almeno trenta volte sorridendo e di averlo chiesto agli altri almeno altre trenta volte (sempre sorridendo), di essermelo scordato subito dopo che mi era stato detto sorridendo, di aver ascoltato un sacco di begli aneddoti, di aver visto una professoressa lanciare fuori dall’aula la sua borsa con dentro il cellulare che squillava , di aver visto poi la segretaria bussare alla porta e dire con la borsa in mano: “Ha chiesto di lei”
Da ieri ho cominciato a frequentare un corso per aspiranti insegnanti di italiano a stranieri. Tornato a casa dopo una giornata intensissima mi sono ricordato di: non aver guardato le scarpe di nessuno (tranne degli stivali di una ragazza stile Lara Croft), di aver sognato due amanti che erano amanti solo per fare aperitivi a Porto Fino, di aver detto il mio nome per presentarmi almeno trenta volte sorridendo e di averlo chiesto agli altri almeno altre trenta volte (sempre sorridendo), di essermelo scordato subito dopo che mi era stato detto sorridendo, di aver ascoltato un sacco di begli aneddoti, di aver visto una professoressa lanciare fuori dall’aula la sua borsa con dentro il cellulare che squillava , di aver visto poi la segretaria bussare alla porta e dire con la borsa in mano: “Ha chiesto di lei”
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domenica 23 ottobre 2011
La domenica, a Roma.
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È triste, è malinconica, è noiosa. La domenica a Roma è sempre uguale. È monotona e lagnosa. La vedi la mattina quando apri la finestra della tua stanza entrare pian0 piano quasi scivolando sulle pareti stinte della camera, infiltrarsi in ogni angolino, tra i vuoti dei mobili e i panni stesi nei balconi (che già dall’alba hanno risucchiato la domenica come spugne e ora sono lì affacciati e tristi, alcuni un po’ scrostati, che ti sembra che da un momento all’altro si butteranno di sotto, mettendo fine all’indecisione della loro vita di stare un po’ dentro e un po’ fuori). La riconosci quando esci, afflitto e già stanco, o comunque senza speranze, a comprare il giornale e la vedi serpeggiare nelle strade deserte e negli occhi scontrosi della gente. Gli autobus passano, ma due ogni ora, e anche nei loro occhi, nella loro quadrilatera anatomia, vedi la domenica afflosciare le sue forme. Sta nel sonnellino pomeridiano che rapisce ogni angolo della città, come un grande lenzuolo di tristezza e di noia che copre tutto e tutti. Anche i monumenti, anche le rovine, igatti, i barboni riversi per strada. Anche le panchine grigie, anche i semafori, anche i negozi con le serrande abbassate, anche le chiese con le campane che strepitano, anche i bambini che vanno a giocare al parco, le vecchie che si svegliano all’alba e vagano per le strade, anche i cinema pieni o vuoti di gente, anche nei ristoranti mezzi chiusi e mezzi aperti, anche nell’ “usciamo o non usciamo stasera?”.
È triste, è malinconica, è noiosa. La domenica a Roma è sempre uguale. È monotona e lagnosa. La vedi la mattina quando apri la finestra della tua stanza entrare pian0 piano quasi scivolando sulle pareti stinte della camera, infiltrarsi in ogni angolino, tra i vuoti dei mobili e i panni stesi nei balconi (che già dall’alba hanno risucchiato la domenica come spugne e ora sono lì affacciati e tristi, alcuni un po’ scrostati, che ti sembra che da un momento all’altro si butteranno di sotto, mettendo fine all’indecisione della loro vita di stare un po’ dentro e un po’ fuori). La riconosci quando esci, afflitto e già stanco, o comunque senza speranze, a comprare il giornale e la vedi serpeggiare nelle strade deserte e negli occhi scontrosi della gente. Gli autobus passano, ma due ogni ora, e anche nei loro occhi, nella loro quadrilatera anatomia, vedi la domenica afflosciare le sue forme. Sta nel sonnellino pomeridiano che rapisce ogni angolo della città, come un grande lenzuolo di tristezza e di noia che copre tutto e tutti. Anche i monumenti, anche le rovine, igatti, i barboni riversi per strada. Anche le panchine grigie, anche i semafori, anche i negozi con le serrande abbassate, anche le chiese con le campane che strepitano, anche i bambini che vanno a giocare al parco, le vecchie che si svegliano all’alba e vagano per le strade, anche i cinema pieni o vuoti di gente, anche nei ristoranti mezzi chiusi e mezzi aperti, anche nell’ “usciamo o non usciamo stasera?”.
lunedì 10 ottobre 2011
Manuale per il tuo piccolo micetto
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Non pensavo che l’istinto materno potesse superare i limiti umani ed estendersi anche agli animali. Mia sorella, da quando abbiamo deciso di prenderci un gattino per porre un freno ai topi che stavano invadendo il nostro giardino, è diventata un’esperta del mondo felino. Sa tutte le malattie che possono beccarsi i gatti, riesce ad interpretare qualsiasi loro comportamento, analizza ogni tipo di miagolio che riesce a decifrare in pochi istanti. E in tutto ciò è accompagnata da una numerosa comunità scientifica: innumerevoli siti di consigli, sfoghi, analisi, di “aiuto il mio gatto si mangia le unghie delle zampe è un problema?”. E lei li consulta tutti.
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giovedì 6 ottobre 2011
Piccoli pregiudizi quotidiani
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Pensavo di non avere pregiudizi ormai. O comunque, pensavo di essermi scrollato di dosso il meccanismo del pregiudizio, quello attraverso il quale non vedi le cose realmente come stanno o, ancora peggio, non le vedi proprio. Stavo facendo colazione su una piccola tovaglietta quadrata. Davanti a me una teiera vetro di ikea e un tè nero e fumante. E poi la marmellata e un cucchiaino per aggiungere il miele al tè. Da vent’anni a questa parte, che io mi ricordi, non ho mai spalmato la marmellata col cucchiaino. L’abitudine col tempo è diventata pregiudizio e ho considerato “lo spalmare” la marmellata sulle fette biscottate con il cucchiaino una cosa assurda e scomoda. Il coltello invece è piatto, sembra proprio fatto apposta per spalmare, si estende su tutta la superficie marroncina della fetta, mi sembrava molto più pratico del cucchiaino.
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lunedì 3 ottobre 2011
Vecchia pazza agitazione
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Mi ero messo la maglietta, la felpa e sopra la camicia perché fuori faceva freddo e io ho sempre freddo. Sveglia alle 7, esame alle 11. Fuori è ancora buio, o meglio semi-alba (quando un piccolo ditino di luce si insinua tra gli angoletti della finestra della camera). I miei pesci rossi mi guardano, immersi nella loro acqua gelida e io, ancora senza occhiali, a malapena riesco a vedere due indistinte macchioline rossastre agitarsi. Ho afferrato la scatoletta gialla e ho versato loro un po’ di quel mangime puzzolente, sottilissimo e- non si sa perché- tricolore. Ho inforcato gli occhiali e ho osservato per un po’ le loro bocche tonde e piccole risucchiare i pezzetti dell’orribile pasto.
E poi via, giù, fuori nel traffico e nel gelo.
E poi via, giù, fuori nel traffico e nel gelo.
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