domenica 9 giugno 2013

Quando la mamma era morta il padre l'aveva sostituita con un pappagallo


 
 

Quando la mamma era morta il padre l'aveva sostituita con un pappagallo - una semplice Ara Aruana, tutta blu, gialla e verde. Antonio odiava i pappagalli; e i loro escrementi a riccioletto, grigio-bianchi e semi liquidi, le zampe da mummia, gli occhi lucidi e fissi. Non sopportava i loro versi agghiaccianti, i loro sguardi sconvolti, la lingua dura e rosa che spuntava ogni tanto dal becco arcuato e orribile. Più in generale, aveva un'avversione totale nei confronti di qualsiasi volatile anche se, due anni prima, quando era un piccoletto di nove anni con la testa bionda, era rimasto affascinato dagli immensi scheletri degli uccelli preistorici che tentavano, immobili, di spiccare il volo dalle immense sale del Museo di Storia Naturale. "Ma questi sono finti, e sono solo un mucchietto di ossa", aveva detto alla nonna che lo teneva per la  mano, sempre un po' sudaticcia, "gli altri sono veri, e hanno le piume", e caricò quelle cinque lettere con tutto il disgusto che aveva in corpo. La nonna, che forse non lo stava neanche a sentire, intenta com'era a leggere con i suoi minuscoli occhi miopi il lunghissimo nome della ricostruzione di un uccello di plastica del miocene,  gli passò di nascosto un wafer alla vaniglia. Poi si erano persi tra i mammut, gli ominidi e le piante del pleistocene, e un custode del museo aveva anche sgridato la nonna per quei wafer che nascondeva dentro la borsetta. Forse, Antonio, non odiava tanto gli uccelli, ma le piume.

Chissà cos'era passato nella testa del padre quando, due mesi dopo la morte di mamma, aveva deciso di  comprare una bella Ara Aruana di ottantasette centimetri di nome Pepelù. Era tornato a casa soddisfattissimo, con quest'immensa gabbietta bianca dove un telo nero copriva il misfatto pennuto. Quando il padre, ridendo, aveva tolto con ampollosità il telo dalla gabbietta, e l'enorme Pepe si era mostrato in tutta la sua psichedelia e aveva emesso un sonoro singulto, Antonio era morto di paura e si era nascosto dietro l'enorme culo di nonna.

Nel pieno della notte, nella striminzita cucina di casa che puzzava perennemente dei brodi di nonna, il padre e sua madre avevano litigato bisbigliando.

-Cosa cazzo ti è venuto in mente? Lo sai che li odia i pappagalli.

-Lo sai che io li ho sempre voluti avere.

-Sì ma...

-E deve vincere questa stupida paura una volta per tutte, è impensabile che...

-Tu sei uno stupido. Il solito stupido.

La nonna aveva acceso i fornelli e si era messa a friggere, nonostante fossero quasi le due del mattino. Ma se non avesse fritto probabilmente sarebbe morta di rabbia quella notte stessa.

Antonio non poteva più passare nel piccolo salotto di casa. Ora, infatti, al posto della televisione, c'era il trespolo dove l'enorme coso multicolore vivacchiava, in un cicaleccio continuo, ossessionato dalle sue zampe nere che mordicchiava a fasi alterne scuotendo le ali un po' spelacchiate.

Antonio viveva in un continuo terrore. Come se non bastasse, Pepelù odiava chiunque. Sibilava e ringhiava a qualsiasi cosa gli passasse accanto. Solo per il padre provava un geloso affetto. E il padre ricambiava con ostentazione.

-Vi è presa questa fissa che vi sta antipatico, e quindi è normale che lui reagisce così, vero Pepelù? Risponde di conseguenza. È mooolto intelligente. Provateci, almeno, a essere carini con lui.

Lo accarezzava sulla testa blu elettrico, gli toglieva le cacche dal trespolo, gli versava con cura il cibo nella bacinella, la sera, per evitare che ciangottasse tutta la notte, gli copriva la gabbietta con un telo nero.

Una notte Antonio si era svegliato perché doveva fare la pipì. Era l'11 settembre 2001, e circa sei ore dopo due aerei si sarebbero schiantati, dall'altra parte del mondo, su due torri altissime, decretando con un gesto epocale lo spartiacque tra due ere. Ma, in quel momento, Antonio doveva solo fare la sua pipì. Per andare in bagno sarebbe dovuto inevitabilmente passare nel corridoio dove, giù in fondo, nella quiete del salotto, nascosto dietro al suo telo nero, dormiva Pepelù. Ciabattò con gli occhi socchiusi per qualche metro, fin quando non vide, appena illuminato dalla luce del lampione che entrava dalla finestra, l'enorme fantasma nero che lo osservava dall'altra parte del corridoio. Cominciò a strillare e a casa si svegliarono tutti. Si accesero luci, scesero i vicini; la nonna, terrorizzata, andò verso di lui con la bocca spalancata, e a momenti non scivolava sulla pozza di pipì che Antonio per lo spavento non era riuscito a trattenere.

Il suo odio per Pepelù era ormai diventato immenso e incontrollabile.

In giro si parlava ormai solo delle torri gemelle quando Antonio, tornato da scuola, si ricordò che quel giorno sarebbe rimasto da solo a casa. La nonna doveva fare certe sue visite alla sciatica e il padre l'aveva accompagnata con la macchina. Ma non solo solo. In casa c'era anche Pepelù.

Posò la cartella nel corridoio. Prese un succo e una merendina dal frigo. Si sedette sul tavolo e cominciò a succhiare carota arancia e limone. Era una bella giornata. Dalla finestra della cucina si potevano vedere piccole nuvole bianche immerse nel cielo azzurro. Sui fornelli c'era una grande pentola piena di sugo preparato da nonna; i suoi sughi erano famosi, ne andava molto fiera.

Aveva appena finito di bere il succo quando il silenzio della casa fu rotto all'improvviso da uno strillo acutissimo. Era Pepelù. Strillò per almeno due minuti di fila, senza mai fermarsi. Uno strillo febbrile, da far uscire fuori di testa chiunque. Antonio, rosso di rabbia, scese dal tavolo e corse nel salotto, che stava proprio in fondo al corridoio, dalla parte opposta della cucina.

-DEVI STARE ZITTO BRUTTO PAPPAGALLO SCHIFOSO!

-BA-BA-BAMBINO B-B-BRUTTO! BAMBINO BRUTTO!

-ZITTO, MERDA PENNUTA!

Afferrò Pepelù con tutta la forza che aveva. Il pappagallo, colto di sorpresa, rimase impietrito. Antonio  cominciò a stritolarlo, urlandogli in faccia insulti terribili. L'uccello si divincolava, strillava e ripeteva tutti gli improperi che aveva imparato. Le sue dita bollite si muovevano da tutte le parti, dal becco arcuato si dimenava la lingua rosa. Ed ebbe la meglio; con uno scatto secco di ali si liberò dalla stretta del bambino. Volteggiò per la stanza strillando come un'aquila. Antonio lo rincorreva da tutte le parti, saltando sul divano, sul tavolo, arrampicandosi sulla tenda. Il telefono prese a squillare ma non si accorse di nulla.

-VIENI QUI VECCHIA VACCA VOLANTE! TI UCCIDOOOO!

-BAMBINO ME-ME-MERDAAA! BAMBINO MERDAAA!

Pepelù imboccò il corridoio e si ficcò dentro la cucina. Si impicciò dentro la lampada, sbattendo più volte sulla credenza delle spezie. Antonio prese una scopa e la brandì come una mazza chiodata. Si arrampicò sul tavolo, gli occhi rossi di rabbia. Con un salto riuscì ad afferrargli la coda, e restò di sasso quando si accorse che gli era rimasta in mano. Ma la rabbia era ancora troppo grande in lui, il disgusto che gli iniettava gli occhi di sangue ancora non si era placato. Prese la scopa e assestò un colpo netto al corpo dell'uccello. Pepelù non poté fare altro che precipitare inesorabilmente dentro al sugo di nonna mentre ancora urlava CULO SPORCO DI BA-BA-BAMBINOOO. Fece proprio splash! e finalmente calò un po' di silenzio.

Antonio scese dal tavolo, impietrito. La pentola stava lì, e nulla si muoveva. Era morto? O era solo svenuto? E ora che diavolo sarebbe successo? Si avvicinò al sugo lentamente, temendo il peggio. Una penna blu spuntava dal pomodoro ribollito per cinque ore. Antonio immerse la mano dentro e prese Pepelù, ancora vivo, ma tutto sporco di sugo e olio.

Doveva assolutamente pulirlo, e farlo subito, perché per lo choc il pappagallo era immobile ancora per poco, ansimava soltanto tra le sue mani lordate di unto e di rosso. Accese l'acqua del rubinetto e vi immerse Pepelù. Quello cominciò di nuovo a strillare e a divincolarsi. Il sugo scivolava via come sangue, risucchiato nel tubo di scarico, ma l'olio restava, era ancora lì, ungeva le penne gialle, inscuriva quel pelame elettrico che piaceva tanto al padre, tingeva gli incavi della pelle rosata, lucidava il becco duro come una noce. Antonio si guardò attorno, disperato, alla ricerca di una soluzione, fin quando vide un enorme barattolo di detersivo per i piatti che splendeva davanti a lui. Tenendo saldamente l'uccello con una mano, con l'altra afferrò il contenitore di plastica e spremette il sapone grasso e verde sulle piume di Pepelù. Lo strofinò ben bene creando riccioli e batuffoli di schiuma luccicante, che invase tutto, riempì il lavandino, lordò il pavimento, si gonfiò sul corpo unto del pappagallo. Lo sciacquò ben bene, finché tutta la schiuma non andò via. Lo portò in bagno e lo asciugò con l'aria calda del phon.

 

-Nonna è andata bene la visita?

-Diciamo di sì, anche se le mani del medico erano ghiacciate. Era come se mi stesse visitando un morto.

-Sempre contro il dottore, che ti avrà mai fatto di male? È una bravissima persona.

-Anche a me sta antipatico. Gli puzza sempre l'alito di zuppa.

-Non ti ci mettere anche tu, Antonio. A proposito, come è andata a scuola?

-Bene.

-Li hai fatti i compiti?

-Sì.

-Hai risposto bene alla maestra?

-Sì.

-Hai fatto il...

-Non lo scocciare con tutte queste domande! Vai a controllare la pasta piuttosto, dovrebbe essere pronta.

-Il sugo di mamma, mi mancava proprio.

-Questo è un'antica tradizione, lo sai piccolo?

-Sì, nonna.

-Va lasciato cuocere per cinque ore, né più né meno.

-Sì.

-E poi in riposo, per altre cinque.

-Sì.

-Le vuoi fare tu le porzioni, mamma?

Nonna si alzò faticosamente dalla sedia. Prese il cucchiaio e la forchetta e cominciò a mettere la pasta nei piatti.

-Cos'hai Antonio? Sei tutto così silenzioso. Tutto bene?

-Sì.

-Hai fame?

-Sì.

-Sei sicuro?

-Sì

-Mettimene di più. Abbonda.

-Così va bene?

-Per ora sì. Mmmmm buooono il sugo di mamma.

-Sì, questa volta mi è venuto davvero bene.

-Ha un sapore ancora  più delicato del solito.

-Un non-so-che...

-Un sapore ancora più tradizionale.

-Sì, esatto.

-È buonissimo.

-Che soddisfazione.

-Brava mamma.

-Grazie caro.

-Antonio? Ma non dici niente?

-...

-Forse non ha fame.

-...

-Non ti piace?

-...

-Antonio?

-...

-Antonio?


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