giovedì 27 giugno 2019

Detective Selvaggi di Roberto Bolaño


Ho trovato Detective Selvaggi in una libreria d’usato nel centro di Roma. Mi aspettava, chissà da quanto, nascosto sotto una pila di romanzi ingialliti. L’ho letto in due settimane, nonostante la mole del libro e i miei impegni di lavoro, ubriacandomi di quella scrittura febbrile e dolorosa. Bolaño rovescia le parole sulla pagina come se avesse un’urgenza interna che il lettore (e forse lo scrittore stesso) non riesce mai a sviscerare appieno. Il risultato è un mistero latente che aleggia in tutto il romanzo, una sorta di inespresso, un “non so che”, un’ansia che non riesce a sfogarsi ma che tutti noi abbiamo provato almeno una volta nella nostra vita.
Nella prima parte del romanzo leggiamo il diario quotidiano di Juan Garcia Madeiro, un diciassettenne aspirante poeta che, in Città del Messico negli anni ’70, si ritrova per caso a far parte di un gruppo di poeti avanguardisti e ribelli, i “realvisceralisti”, capeggiati da Arturo Belano e Ulises Lima. Nella seconda parte, invece, si susseguono le voci di ben 54 personaggi, che raccontano alcuni frammenti delle proprie vite dagli anni ’70 agli anni ’90, e che sono testimonianze del loro incontro con Arturo e Ulises. È come se un detective avesse raccolto una serie di interviste a coloro che hanno conosciuto i due poeti. In questo modo, a poco a poco, riusciamo a ricostruire le loro esistenze tumultuose in giro per il mondo, tra droghe, alcol, poesia e avventure, alla ricerca di una misteriosa poeta.
I 54 personaggi, ciascuno con la propria particolarità, sono accomunati da vite destinate al fallimento, alla desolazione e alla solitudine. Sono mossi da una speranza, un'esigenza, che col tempo diventa frustrazione e sogno infranto. Noi siamo i detective selvaggi che entrano nelle loro vite per qualche pagina, per ritrovarci di colpo rimbalzati in un nuovo frammento, nel tentativo di ricostruire una mappa strappata in mille pezzi.
Il tempo salta e si trasforma, come nell’episodio di Auxilio Lacountre, che nel ’76 rimane nascosta per giorni nei bagni dell’università a seguito di una rappresaglia dei militari, nutrendosi di carta igienica e viaggiando avanti e indietro nel tempo. Il tempo è una memoria interrotta, o che ritorna all’improvviso per poi scomparire di nuovo e per sempre, come nel frammento di Luis Sebastiano Rosado, che racconta del suo ultimo incontro con il suo amante e poeta Piel Divina, ridotto in miseria a vagabondare per le strade del Messico, sulle tracce di Arturo e Ulises.
Il tempo in Detective Selvaggi è un dettaglio che, per qualche strano giro di memoria, ci rimane impresso nella mente, sebbene inessenziale. È quel “non so che” che riempie le nostre vite e che ogni giorno tentiamo di acciuffare.


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